Ne Il crudo e il cotto Claude Lévi Strauss si interroga sulla tensione tra natura e cultura alla ricerca della “casa” del mito; questa mostra ne prende a prestito il “profumo” nell’intento di evocare un’at-tenzione per le dialettiche degli opposti che è elemento cardine nel lavoro di Gabriele Jardini. Ma in questo caso si tratta di dialettiche disassate perché il “crudo” si oppone al “dritto” realizzando uno scarto sull’asse del buonsenso fino a farci toccare con mano il limite, quel luogo dove il possibile sconfina nell’impossibile.
Jardini usa la fotografia per operare una fotografia del limite. E lo fa con una puntuale, esasperata, maniacale, perizia tecnica piegata alla resa estrema del dettaglio. Il procedimento è quello della costruzione di una sorta di “iperdocumento”, ma in realtà, come in un gioco di prestigio, se si affina lo sguardo si assiste alla testimonianza di un’escursione nei territori di ciò che non esiste o esiste solo nella consistenza dell’immagine.
Sul versante diametralmente opposto all’istantanea, la fotografia qui prende tempo. Set le cui costruzioni avvengono con tempi lunghissimi trasudano infinita pazienza sostenuta dalla non comune capacità di aspettare, mentre lo scatto dà forma progressivamente ad una processualità del fare, contraddicendo la rapidità che sta dentro il suo nome stesso.
In questo tempo senza tempo gli opposti si rincorrono, compreso quello che oggi attraversa pesantemente la contemporaneità chiamando in gioco la realtà e la finzione.

Gabriele Jardini nasce nel 1956 a Gerenzano, dove vive. Studia al Conservatorio di Milano pianoforte e composizione e si diploma a Brescia in Direzione di Coro e Canto Corale. La sua attività artistica inizia nel 1981 e dal 1985 fino al 2006 lavora direttamente nell’ambiente naturale interagendo con il luogo ed i suoi materiali. Dal 2007 la sua attività si concentra sullo still life. Numerose le personali e collettive tenute in Italia e all’estero. Varie le pubblicazioni ed i testi critici che lo riguardano.