“Premettendo che sono nativo di un luogo di mare, il lago, che solitamente dovrebbe essere un luogo rilassante, mi fa l’effetto contrario. Rimane il fascino-attrazione per il paesaggio dall’immagine doppia”, così dice Enzo Umbaca che ha costruito questa mostra guardando al lago di Varese e percorrendo più volte le sue rive. 

Quello di Varese è un lago con una storia particolare per due motivi contrapposti: la sua “ricchezza”, in virtù dell’importante insediamento palafitticolo risalente al neolitico, e la sua “povertà” dovuta ad un significativo stato di degrado conseguente alla cronicizzazione dell’inquinamento.

La mostra è costruita su due registri, uno installativo ed uno partecipativo.

Alla volta concava dello spazio di riss(e) si contrappone una struttura convessa, leggera come una sorta di architettura temporanea e contemporanea che agisce da riparo-protezione e al tempo stesso modifica l’acustica del luogo. Osservata dal basso, seduti sulla sedia a sdraio, si ha la sensazione di osservare la “pancia” del lago, che, concentrata nella zona centrale dello spazio, ne lascia percorrere il solo perimetro provocando un’impressione di soffocamento e uno straniamento semantico circolare quasi fosse un giro intorno al lago.

Nel contempo è riproposto il documento video di un’azione che dà senso alla “pancia” del lago e attribuisce il titolo all’intera operazione, mutuato dall’opera di Yves Klein del 1959-62, Zones de sensibilité picturale immatérielle. L’artista francese vendeva “zone di sensibilità pittorica immateriale” in cambio di lingotti d’oro, e coinvolgeva l’acquirente in un elaborato rituale durante il quale il collezionista bruciava la sua ricevuta mentre l’artista gettava metà dell’oro nella Senna. 

Umbaca ha chiesto a diversi residenti di vuotare una bustina di bicarbonato nelle acque, esprimendo un desiderio, in cambio di un disegno dell’artista. Ma in questo caso, per avverare il desiderio, il disegno non doveva essere necessariamente bruciato. La partecipazione è così intesa come atto di creazione artistica, orientata a far compiere un gesto inusuale, entrare in contatto con la sensibilità-desiderio, per immaginare la realtà oltre la rappresentazione. 

 

Enzo Umbaca

Ha costruito diversi progetti sul tema dell’immaterialità e dell’acqua come per esempio una bara di ghiaccio nel bosco in Lussemburgo, un pupazzo di neve legato ad un palo in Valle d’Aosta,  una spedizione sulle Alpi della Marmolada a recuperare il ghiaccio per realizzare l’opera sul tetto piano di una costruzione di Eduard Gallner  all’ Ex villaggio Eni;  o il campo di calcio sul pendio di una collina in Calabria.

A questo proposito, l’artista dice: 

“Il mio intento non era quello di creare opere mastodontiche o monumentali che durassero nel tempo e spazio, ma soprattutto di dare vita a storie e a concretare concetti,   seppure  dopo un lungo lavoro sul luogo o spazi urbani.  prima che l’opera si cancellasse ho cercato di preservare una testimonianza, utilizzando i mezzi più adatti…”